domenica 26 aprile 2009

Quando smettere di credere alle coincidenze?

E’ davvero incredibile come quando t’interessi per la prima volta di una cosa o di una faccenda che non avevi mai approfondito prima, oppure noti una persona che prima non avevi mai notato, è incredibile come dopo questo primo interessamento in ogni occasione si ripresenti questa cosa, questa canzone, questa persona. Mentre prima del primissimo approccio non ne avevi neanche mai sentito parlare, o almeno così credevi. Il che evidentemente non può essere una coincidenza.
Forse è un po' la differenza tra guardare e osservare, tra sentire e ascoltare..quando osservi per la prima volta coscientemente una situazione, anche se questa stessa ti si era presentata davanti chissà quante altre volte prima (ma tu non ci avevi dato peso), sei inevitabilmente portato a ricordartene, a riconoscerla nelle altre situazioni, forse quasi a cercarla.
Oppure è possibile che noi umani, essendoci talmente tante cose nel mondo, siamo portati a una sorta di difesa verso tutto ciò che è estraneo a noi, e perciò ci mettiamo molto tempo a notare qualcosa o a ricordarci il nome o il volto di qualcuno, a farci colpire dalle cose.. ma quando poi facciamo questo primo passo..poi questa cosa fa parte della nostra vita e la riconosciamo e la vediamo ovunque, e il mondo in un certo senso sembra ricordarcela.
E' un po' come trovare il punto da cui iniziare per disegnare qualcosa, è difficile trovarlo, sceglierlo in mezzo agli infiniti punti dello spazio..ma una volta identificato sembra tutto più semplice, anche se non sai bene che tragitto farà la penna, quali e quanti segni lascerà sul foglio..magari ci sarà più d'un tragitto possibile, poi forse si interromperà, cambierà bruscamente direzione..ma il punto iniziale è quello.
E' essenziale trovare il punto iniziale giusto, riconoscere la faccenda giusta, quella a cui permettere d'entrare nella tua vita.
Se poi il tragitto della penna sul foglio va a formare un cerchio, dove quasi incredibilmente il punto finale coincide con quello iniziale..beh, questa è una fortuna ulteriore, qualcosa di tremendamente raro, è un po' come trovare il senso.

venerdì 24 aprile 2009

Per.

Per me,
Perchè le note di facebook iniziano a starmi strette,
Perchè ormai oggi pomeriggio è inutile iniziare a studiare,
Perchè era da un po' che lo volevo fare,
Perchè non ho voglia di uscire a fare due passi.

Ho fatto un copia e incolla ricapitolando i pensieri raccolti in questi ultimi mesi.

Giovedì 9 aprile 2009

Rusty: Saul, you're the best there is. What do you want?

Saul: Nothing. I've got a duplex now, wall-to-wall, goldfish. I'm seeing a nice lady who works the "Unmentionables" counter at Macy's. I've changed.

Rusty: Guys like us don't change, Saul. We either stay sharp or we get sloppy, we don't change.

Mercoledì 8 aprile 2009

A nido d’ape o a spina di pesce,
facciamo una casetta tutta come ci va,
mettiamo il letto sul pavimento
che al mal di schiena ci pensiamo nell’aldilà,
prendiamo tutti gli accorgimenti,
la testa a nord, le gambe 10 gradi a sudest.

Vieni a vivere come me,
vieni a vivere come me,
vieni a vivere come me.
Com’è che non ti muovi?
Com’è possibile?

Poi fumiamo le sigarette
che a casa nostra non ci vengono mamma e papà,
mangiamo tutte le scatolette,
beviamo birra
andiamo a fare la spesa al discount.

Vieni a vivere come me,
vieni a vivere come me,
vieni a vivere come me.
Com’è che non ti muovi?
Com’è possibile?

Mettiamo un disco sul gira disco,
baci in cucina, baci in sala, baci in garage,
facciamo 120 bambini,
tutti con dei nomi molto particolari
così gli canto una canzone,
di quelle belle che li fanno addormentare.

Vieni a vivere come me,
vieni a vivere come me,
vieni a vivere come me,
vieni a vivere.

Venerdì 3 aprile 2009

mi sveglio con calma. pensando che sarebbe bello parlare al plurale. e dire che andiamo a vedere insieme cosa c'è in frigo. e poi mangiarci piano, tutto quello che sono riuscito a mettere nello zaino dal catering del concerto. Invece sono sostanzialmente solo e con poca fame. Era bello svegliarsi alle sette di mattina per andare a vomitare e poi tornare a letto. Era bello. Era bello. Come la notte che ci ha rimboccato le palpebre. Come andare a guardare il cielo malconcio di Chernobyl. esprimere desideri guardando satelliti giapponesi che stanno per scoppiare.

Le luci della centrale elettrica.

Mercoledì 1 aprile 2009

E’ difficile resistere al Mercato, amore mio
Di conseguenza andiamo in cerca
di rivoluzioni e vena artistica
Per questo le avanguardie erano ok,
almeno fino al ’66
Ma ormai la fine va da sé
E’ inevitabile
Anna pensa di soccombere al Mercato
Non lo sa perché si è laureata
Anni fa credeva nella lotta,
adesso sta paralizzata in strada
Finge di essere morta
Scrive con lo spray sui muri
che la catastrofe è inevitabile

Vede la fine in metropolitana,
nella puttana che le si siede a fianco
Nel tizio stanco
Nella sua borsa di Dior
Legge la Fine nei saccchi dei cinesi
Nei giorni spesi al centro commerciale
Nel sesso orale, nel suo non eccitarla più
Vede la Fine in me che vendo dischi
in questo modo orrendo
Vede i titoli di coda nella Casa e nella Libertà

E’ difficile resistere al Mercato, Anna lo sa
Un tempo aveva un sogno stupido:
un nucleo armato terroristico
Adesso è un corpo fragile
che sa d’essere morto e sogna l’Africa.
Strafatta, compone poesie sulla Catastrofe

Vede la fine in metropolitana,
nella puttana che le si siede a fianco
Nel tizio stanco
Nella sua borsa di Dior
Muore il Mercato per autoconsunzione
Non è peccato, e non è Marx & Engels.
E’ l’estinzione, è un ragazzino in agonia.
Vede la Fine in me che spendo soldi
e tempo in un Nintendo
dentro il bar della stazione
e da anni non la chiamo più.

Domenica 29 marzo 2009

Perché Berlinguer era una brava persona.
Perché Andreotti non era una brava persona.
Perché "la borghesia il proletariato la lotta di classe, cazzo!"
Perché abbiamo avuto il peggiore partito socialista d'Europa!
Perché lo Stato, peggio che da noi, solo l'Uganda...
Perché non ne poteva più di quarant'anni di governi democristiani incapaci e mafiosi.
Perché Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l'Italicus, Ustica, eccetera, eccetera, eccetera!...
Perché non sopportava più quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia!
Perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché sentiva la necessità di una morale diversa.

Perché forse era solo una forza, un volo, un sogno.

Era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.

Perché con accanto questo slancio ognuno era come più di se stesso: era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana, e dall'altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo, per cambiare veramente la vita.

No, niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare, come dei gabbiani ipotetici.

E ora?

Anche ora ci si sente in due: da una parte l'uomo inserito, che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana, e dall'altra il gabbiano, senza più neanche l'intenzione del volo. Perché ormai il sogno si è rattrappito.

Due miserie in un corpo solo.

Sabato 28 marzo 2009

Nella vita accade che, proprio mentre
si è affascinati da mille attività ed
esseri, ci si manifesta
d’un tratto il sentimento
della preferenza. Allora
preferiamo viaggiare all’interno
di una persona,
piuttosto che continuare
a incontrarne ancora
un’altra, e poi un’altra, e
un’altra ancora. Preferiamo
essere con questa
persona e farle tutte le
carezze possibili. Andare
a cercare ancora non ci
interessa più. Amare è
preferire. Il desiderio diventa
più importante dei
desideri. Quando amiamo,
in conclusione, ci si
impone il desiderio al
singolare».
Ma poi, come fare in
modo che la situazione
resti preferibile a lungo?
Forse tentando una cortesia
che mai prima, lacerati
tra passato e futuro,
eravamo stati in grado di offrire:
la cortesia di essere persone del presente.
«Questa è un’operazione molto
difficile. Si tratta di ostinarsi a restare
nel momento, respingendo ogni
possibile attacco dal passato o dal
futuro». Riuscire in questo sforzo di
concentrazione è di vitale importanza.
Sembra infatti che le persone del
presente siano quelle con cui la vita
è più gradevole. Forse perché, come
spiega il romanzo, “hanno una gentilezza
che potrebbe sembrare banale,
e invece è una rarità: la gentilezza di
esserci. Esserci quando ti parlano,
quando assaggiano un cibo, quando
si arrabbiano, essere lì e non altrove
quando fanno l’amore con te”.

Mercoledì 25 marzo 2009

Con santa pazienza
Ho dovuto aspettare
Con quanta buona fede
Sono stato ad ascoltare
Cara, cara democrazia
Sono stato al tuo gioco
Anche quando il gioco
Si era fatto pesante
Cosi mi sento tradito
O sono stato ingannato
Mi sento come partito
E non ancora approdato
Sento un vuoto
Sento un vuoto al mio fianco
E nessuna certezza
Messa nero su bianco
Con benedetta arroganza
Sono stato avvilito
Con quanta leggerezza
Sono stato alleggerito
Cara
Cara democrazia
Cara gemma imperfetta
Equazione sbagliata
Non scritta e mai corretta
Devotissimi della chiesa
Fedelissimi del pallone
Nullapensanti
Della televisione
Siamo i ragazzi del coro
Le casalinghe sempre d'accordo
E la classe operaia
Nemmeno me la ricordo
Democrazie pubblicitarie
Democrazie allo stadio
Democrazie quotate in borsa

Fantademocrazie
Libertà autoritarie
Libertà ugualitarie
Democrazie del lavoro
Democrazie del ricordo e della dignità
Ahi che pessime orchestre
Che brutta musica che sento
Qui si secca il fiore e il frutto
Del nostro tempo
Sono giorni duri
Sono giorni bugiardi
Cara democrazia
Ritorna a casa che non é tardi
Non sai con quanta pazienza
Ho dovuto aspettare
Non sai con quanta buona fede
Sono stato ad ascoltare
Sono giorni duri
Sono giorni bugiardi
Cara democrazia
Ritorna a casa
Che non è tardi.

Giovedì 19 marzo 2009

Un po’ di noi per credere che amare sia possibile.
Un po’ di quel che merito e meriti anche tu.
Un po’ di giorni scarichi, e un altro po’ frenetici,
perché sarebbe stupido pretendere di più.

Un po’ di pane e di caffè,
un po’ di sport per sciogliere le rughe dell’età,
qualche fotografia fra i ricordi che non ho,
per toccare il fondo,
ma anche il cielo almeno un po’.

Un po’ di blues per piangere la nostra solitudine,
e un po’ di bar all’angolo per ritirarsi su.
E un po’ di guai nell’anima,
e un Dio che un po’ ci illumina,
perché fra guerre inutili s’affacci un po’ di blu.

Un po’ di aria di Chernobyl
per essere o non essere
nel nostro DNA.
Qualche mezza bugia se capirsi non si può,
per toccare il fondo, ma anche il cielo almeno un po’.
Per toccare il fondo, ma anche il cielo almeno un po’.

Perché sarebbe inutile pretendere di più,
questo amore che c’è fra di noi o forse no.
Per toccare il fondo, ma anche il cielo almeno un po’.
Per toccare il fondo, ma anche il cielo almeno un po’

Sabato 21 febbraio 2009

Scrive Heidegger: “Dove il linguaggio si fa parola? Pare strano, ma là dove noi non troviamo la parola giusta per qualche cosa che ci tocca, ci trascina, ci tormenta o ci entusiasma”.

Mi capita spesso di fermarmi ad
analizzare il mistero delle parole e
del linguaggio verbale che ci caratterizza
in quanto uomini.
Succede a volte che un solletico di
stupore mi colga nel momento in
cui cerco di chiamare il mio compagno
per nome e la voce non mi esce
perché non c’è suono che trovi corrispondenza
precisa alle mie idee:
ora che gesti, confidenze, esperienze
condivise ci fanno più vicini rispetto
a quando eravamo solo conoscenti,
mi sorprende una sensazione
di inadeguatezza che non mi
permette di trovare una qualche
manciata di lettere a cui affidare lo
status della mia anima.
Perché le situazioni cambiano, ma le
parole a disposizione restano le
stesse, con l’arduo onere di raccontare
la passione e la storia del nostro
affetto quando chiamiamo le
persone care; perché le nostre sensazioni
e le sottili pieghe dei nostri
pensieri delicatamente ma necessariamente
si modificano, ma la parola
resta sempre quella di ieri, cattiva
interprete degli interiori mutamenti.
Penso a cosa si cela dietro il nome
con cui ci rivolgiamo a un figlio cresciuto,
che non è più quello che
sgridavamo da piccolo; a quale potenza
evocatrice sia contenuta nel
chiamare una persona che tuttavia
non c’è più: nomi che suonano sempre
i medesimi nell’aria e così non
riescono a farsi testimoni della condizione
cangiante della nostra anima
e della realtà esterna. Termini
sempre identici che se da una parte
sopperiscono al nostro bisogno di
punti fermi, dandoci l’illusione che
qualcosa resti uguale, dall’altra mal
ci aiutano a trovare cosa sia, poiché
incapaci di rivelare la profondità
delle nostre intenzioni.
Forse che tutta quella razionalità
dietro a cui ci rifugiamo, e in nome
della quale ci sentiamo padroni,
davvero non basti a se stessa e affondi
le radici della sua magnificenza
su ciò che invece le è estranea
e inafferrabile?
Se per la densità, la tortuosità, la sinuosità,
l’ineffabilità del nostro sentimento
trovassimo la parola giusta, questa lo
racchiuderebbe come una lapide sigilla
una tomba. È infatti nella natura del
sentimento non lasciarsi esaurire dalle
parole che lo nominano e, grazie all’insufficienza
espressiva delle parole, il
sentimento può lasciar trasparire quello
che è suo proprio: l’inesprimibile.
Il sentimento, infatti, vive proprio nel
non riuscire mai a dirsi completamente,
quindi nel suo custodirsi come riserva
sorgiva di un’ulteriorità di significazioni,
esattamente come la parola poetica che
non nomina mai “questo” o “quello”, se
non per alludere a un’eccedenza di
senso a cui nessuna parola propriamente
corrisponde.
Per questo ogni parola dettata dal sentimento
è orlata dal silenzio, dove risuona
tutto il senso che la parola enunciata
non riesce a dire. Ma chi vive il silenzio
come una riserva di senso? Chi va alla
ricerca del suo risuonare? Chi si pone
sulla soglia del non-detto, che non è il
taciuto, ma ciò che nessuna parola riesce
propriamente a dire? Nessuno. Perché
la nostra cultura, che è una cultura
dell’inflazione delle parole, ama l’esplicitazione
totale, l’enunciazione chiara, la
significazione definita, e, temendo tutto
ciò che sfugge al controllo, guarda con
sospetto ciò che si sottrae alla verbalizzazione,
come per esempio l’insondabilità
del silenzio, l’impenetrabilità del segreto,
e in generale tutti quei recessi dove
la profondità del senso non si espone,
non si esplicita, ma si custodisce.
L’insufficienza del linguaggio non è semplice
povertà linguistica, ma segno che
l’orizzonte del sentimento è molto più
ampio dell’orizzonte della parola. E proprio
là dove la parola manca, siamo nelle
prossimità di un evento sentimentale
non ancora usurato dal linguaggio o non
ancora raggiunto nella sua abissalità.
Ma chi ama gli abissi del sentimento
che non si lasciano esprimere nei modi
di dire? Chi, senza terrore, sa porsi in
ascolto di ciò che non giunge alla parola
e, proprio perché non si lascia codificare
dal linguaggio abituale, è l’assolutamente
nuovo che turba la quiete?
Noi, che diciamo di amare le novità, in
realtà ci teniamo assolutamente lontani
dall’insolito, dall’inusuale, dall’imprevisto,
che sono i tratti con cui il nuovo si
annuncia e, nel suo annunciarsi, inquieta.
E allora bisogna essere forti per
abitare i bordi del linguaggio, le sue insufficienze,
le sue inesprimibilità che
sono costitutive del sentimento, come ci
ricorda Platone là dove scrive: “Gli
amanti che passano la vita insieme non
sanno dire che cosa vogliono l’uno dall’altro.
Non si può certo credere che solo
per il commercio dei piaceri carnali
essi provano una passione così ardente
a essere insieme. È allora evidente che
l’anima di ciascuno vuole altra cosa che
non è capace di dire, e per ciò la esprime
con vaghi presagi, come divinando
da un fondo enigmatico e buio”.

Umberto Galimberti

sabato 14 marzo 2009

Comprati un mazzo di fiori che poi ti do i soldi
cerca di farti bella più bella di quello che sei
muoviti fai presto che ti voglio vedere
non sbagliare via e porta qualcosa da bere
quando sei qui con me questa stanza non ha più pareti
appena te ne vai olocausto di tutti i poeti

Beato me
un principe che non è né figlio della regina né figlio del re

dai l’acqua alla pianta dei sogni che intanto io accendo il camino
cammina vicino a me ma non starmi vicino
tutti i difetti che ho sono peggio di quello che pensi
domani mattina avrò pezzi di te in mezzo ai denti
non c’è pericolo
ho una fame senza fine
chissà se non mi hai sentito o non mi hai voluto sentire

Beato me
un principe che non è né figlio della regina né figlio del re.

Venerdì 6 febbraio 2009

Vecchio, benedetto, Pekisch,
questo non me lo devi fare. Non me lo merito. Io mi chiamo Pehnt, e sono ancora quello che se ne stava sdraiato per terra a sentire le voci nei tubi, come se quella arrivasse davvero, e invece non arrivava. Non è mai arrivata. E io adesso sono qui. Ho una famiglia, ho un lavoro e la sera vado a letto presto. Il martedì vado a sentire i concerti che danno alla Sala Trater e ascolto musiche che a Quinnipak non esistono: Mozart, Beethoven, Chopin. Sono normali eppure sono belle. Ho degli amici con cui gioco a carte, parlo di politica fumando il sigaro e la domenica vado in campagna. Amo mia moglie, che è una donna intelligente e bella. Mi piace tornare a casa e trovarla li, qualsiasi cosa sia successa nel mondo quel giorno. Mi piace dormire vicino a lei e mi piace svegliarmi insieme a lei. Ho un figlio e lo amo anche se tutto fa supporre che da grande farà l'assicuratore. Spero che lo farà bene e che sarà un uomo giusto. La sera vado a letto e mi addormento. E tu mi hai insegnato che questo vuol dire che sono in pace con me stesso. Non c'è altro. Questa è la mia vita. Io lo so che non ti piace, ma non voglio che tu me lo scriva. Perchè voglio continuare ad andare a letto, la sera, e addormentarmi.
Ognuno ha il mondo che si merita. Io forse ho capito che il mio è questo qua. Ha di strano che è normale. Mai visto niente del genere, a Qunnipak. Ma forse proprio per questo, io ci sto bene. A Quinnipak si ha negli occchi l'infinito. Qui, quando proprio guardi lontano, guardi negli occhi di tuo figlio. Ed è diverso.
Non so come fartelo capire, ma qui si vive al riparo. E non è una cosa spregevole. E' bello. E poi chi l'ha detto che si deve proprio vivere allo scoperto, sempre sporti sul cornicione delle cose, a cercare l'impossibile, a spiare tutte le scappatoie per sgusciare via dalla realtà? E' proprio obbligatorio essere eccezionali?
Io non lo so. Ma mi tengo stretta questa vita mia e non mi vergogno di niente: nemmeno delle mia sovrascarpe. C'è una dignità immensa, nella gente, quando si porta addosso le proprie paure, senza barare, come medaglie della propria mediocrità. E io sono uno di quelli.
Si guardava sempre l'infinito, a Quinnipak, insieme a te. Ma qui non c'è l'infinito. E così guardiamo le cose, e questo ci basta. Ogni tanto, nei momenti più impensati, siamo felici.
Andrò a letto, questa sera, e non mi addormenterò. Colpa tua, vecchio, maledetto Pekisch.
Ti abbraccio. Dio sa quanto ti abbraccio.
Pehnt, assicuratore.

Sabato 24 gennaio 2009

In quella notte d'improvviso mi ero accorta di una cosa, e cioè che tra la nostra anima e il nostro corpo ci sono tante piccole finestre, da lì, se sono aperte, passano le emozioni, se sono socchiuse filtrano appena, solo l'amore le può spalancare tutte assieme e di colpo, come una raffica di vento.

Sabato 27 dicembre 2008

Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità

Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie

Coltivando tranquilla
l'orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un'anestesia
come un'abitudine
per chi viaggia in direzione ostinata e contraria

col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità di verità

per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità

ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere

Sabato 13 dicembre 2008

Tu sì.....che sei Speciale
ti invidio sempre un po'
sai sempre cosa fare...e...
e che cosa è giusto o no!

Tu sei così sicura
di tutto intorno a te
che sembri quasi un'onda che
che si trascina.....me..

Lascia stare
che ho qualche anno in più
meno male
che sei convinta tu
io sto uguale
mi chiedo solo se
faccio male...a volte
a ridere di te..

Le stelle stanno in cielo
e i sogni....non lo so
so solo che son pochi..
quelli che s'avverano..

Io so che sei una donna
onesta......non lo so
soprattutto con se stessa...
con se stessa forse no..

Lascia stare
che ho qualche anno in più
meno male
che sei convinta tu
io sto uguale
...adesso penso che
chissà quante volte
hai riso tu di me..

Giovedì 13 novembre 2008

Allora si son messi li a studiarli, perchè giustamente non gli tornava 'sta storia che un fiume, dovendo arrivare al mare, scelga deliberatamente di fare un sacco di curve, invece di puntare diritto allo scopo..c'è qualcosa di assurdo!
Hanno scoperto che non sono matti, è la loro natura di fiumi che li obbliga a quel girovagare continuo, e perfino esatto, tanto che tutti alla fine navigano per una strada tre volte più lunga del necessario, anzi, per essere esatti, tre volte virgola quattordici..devi prendere la loro distanza dal mare, moltiplicarla per pi greco e hai la lunghezza della strada che effettivamente fanno, il che, ho pensato, è una gran figata, perchè se c'è una regola per loro, vuoi che non ci sia per noi?
Il meno che ti puoi aspettare è che anche per noi sia più o meno lo stesso, e che tutto questo sbandare da una parte e dall'altra, come se fossimo matti, o peggio smarriti, in realtà è il nostro modo di andare diritti, modo scientificamente esatto, e per così dire già preordinato, benchè indubbiamente simile a una sequenza disordinata di errori, o ripensamenti, ma solo in apparenza perchè in realtà è semplicemente il nostro modo di andare dove dobbiamo andare..
..è una storia che se ci pensi è rassicurante, che ci sia una regola oggettiva dietro a tutte le nostre stupidate..

Lunedì 22 settembre 2008

Ha 38 anni, Bartleboom. Lui pensa che da qualche parte, nel mondo, incontrerà un giorno una donna che, da semppre, è la sua donna. Ogni tanto si rammarica che il destino si ostini a farlo attendere con tanta indelicata tenacia, ma col tempo ha imparato a considerare la cosa con grande serenità. Quasi ogni giorno, ormai da anni, prende la penna in mano e le scrive. Non ha nomi e non ha indirizzi da mettere sulle buste:ma ha una vita da raccontare. E a chi se non a lei? Lui pensa che quando si incontreranno sarà bello posarle sul grembo una scatola di mogano piena di lettere e dirle:Ti aspettavo