sabato 4 dicembre 2010

Catarsi o morbosità?

Ho sempre odiato le notizie sugli omicidi al telegiornale, anche se minime e lapidarie.

Da quando, invece, sono nate trasmissioni ad hoc che parlano dell'ammazzato/disperso/violentato del mese sono a dir poco angosciata.

Non me lo spiego. Non mi spiego come la gente possa interessarsi a queste vicende, e appassionarsi come fossero delle soap.

Per non parlare dei "curiosi" - che chiamo così per non essere infame - che vanno in gita nel luogo del delitto.
E' terribile, quando l'ho saputo non volevo e non riuscivo a crederci.
Per settimane non ho trovato risposte soddisfacenti a questo mio punto interrogativo.

Galimberti oggi mi ha dato la risposta che cercavo, e che mi riporta alla mente gli insegnamenti di Girotto.

Dio benedica il liceo classico.


" [...] Chi sono (gli spettatori dei programmi televisivi che scavano nelle tragedie altrui) e cosa li induce a stare così incollati alla televisione, senza perdere una sola immagine di queste macabre ricostruzioni? La risposta ce la offre Aristotele nella Poetica, là dove scrive:
"La rappresentazione di casi che suscitano pietà e terrore ha per effetto di sollevare e purificare l'animo da siffatte passioni (pathemàton kàtharsis)", consentendo di espellerle nella ricostruzione scenica, invece che sfogarle nella realtà.
E allora tutto bene?
Si, alla sola condizione che ciascun spettatore, che non si perde una sola immagine della ricostruzione, riconosca in se stesso il potenziale omicida, il potenziale stupratore, il potenziale delinquente che alberga in lui, e non invece, come più spesso accade, l'uomo giusto che mai farebbe simili cose.
Nella ricostruzione scenica, infatti, si espelle quello che si ha dentro, perchè se dentro non si hanno queste terribili tendenze non si resta incollati alla televisione e tanto meno si va sui luoghi del delitto"

Umberto Galimberti.

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