Ieri è morto Lucio Dalla.
Dai, non scherziamo.
Mi è sembrato da subito completamente impossibile.
Poi ci ho pensato.
Effettivamente gli artisti non muoiono. O meglio, ci lasciano un loro pezzettino per sempre. La loro arte.
Lucio è senz'altro morto per i suoi amici, ma per me no. Per me continuerà ad essere come prima, continuerò ad ascoltare le sue canzoni e credo che la tristezza al pensiero che non ci sia più sarà sopraffatta dalla totale ebbrezza che mi continuerà a provocare la sua voce.
Lucio e la sua musica erano e continueranno ad essere intangibili, completamente extraterreni, divini, irraggiungibili, e allo stesso tempo così prepotentemente vicini.
Una delle mie prime memorie culturali su Lucio risale al 1996.
Ovviamente la sua musica l'ho ascoltata, più o meno inconsapevolmente, da quando sono nata; tant'è che quando ieri ho chiamato il pupi per avvisarlo, le sue parole sono state "Orco io, la colonna sonora della mia vita".
Comunque, un giorno non meglio precisato del 1996 ho trovato mia sorella e la sua amica Gloria che ridacchiavano davanti alla foto di Lucio nudo al pianoforte, stampata tra i testi dell'album Canzoni.
Ecco. In quel momento credo di aver capito che quello li era un grande.
Ho ascoltato quell'album continuamente.
Geniale Lucio. Che come ghost tracks, alla fine dell'album, ci schiaffa Disperato erotico stomp e un canto religioso. Cioè, vi pare??
Amici e Caruso sono la colonna sonora di due momenti fondamentali della mia vita.
La prima mi ha cullata quando ero una stupidissima preadolescente sognatrice, la seconda quando avevo diciott'anni e mi davo la carica pestando il piede nell'acceleratore dell'Audi del pupi con quella musica a palla che mi isolava completamente dal mondo esterno.
Grazie Lucio.
Invece di uscire a fare due passi
Il mondo visto dal mio punto interrogativo di vista
venerdì 2 marzo 2012
mercoledì 28 dicembre 2011
giovedì 20 ottobre 2011
Non siamo sognatori.
"In una vecchia storiella dell’ex Germania Est, un operaio viene mandato a lavorare in Siberia. Sapendo che la sua posta sarà controllata dalla censura, dice ai suoi amici: “Concordiamo un codice: se vi scriverò usando l’inchiostro blu, vorrà dire che è tutto vero; se userò l’inchiostro rosso, vorrà dire che è tutto falso”. Dopo un mese i suoi amici ricevono la prima lettera, scritta con l’inchiostro blu: “Qui è tutto meraviglioso: i negozi sono pieni, c’è da mangiare in abbondanza, gli appartamenti sono grandi e ben riscaldati, al cinema danno film occidentali e ci sono tante belle ragazze pronte all’avventura. L’unica cosa che manca è l’inchiostro rosso”. Non è forse questa la nostra situazione? Abbiamo tutte le libertà che vogliamo, ma ci manca l’inchiostro rosso: ci sentiamo “liberi” perché non abbiamo un linguaggio capace di esprimere la nostra mancanza di libertà."
Dall'intervento di Slavoj Žižek ai manifestanti di Occupy Wall street.
Dall'intervento di Slavoj Žižek ai manifestanti di Occupy Wall street.
giovedì 18 agosto 2011
venerdì 20 maggio 2011
Ho due cose da dire
Quando ero piccola la mia amica si chiamava come l'amica della mia nonna.
Pensavo che la cosa non fosse casuale, che tutte le amiche si dovessero chiamare Marta, o per lo meno che le vere amiche si chiamassero così.
Pensavo e sognavo che il nostro rapporto sarebbe sempre rimasto com'era,
e mia nonna e la sua amica mi sembravano semplicemente noi da vecchie, tali e quali.
Mia nonna è del 1923, oggi sono andata a trovarla e dopo poco è arrivata anche la sua amica Marta a fare due chiacchiere.
E' stato bello vederle parlare, ridere insieme, e raccogliere le ciliegie.
Io ho solo 23 anni e la mia amica Marta non mi viene più a trovare, e non ridiamo più insieme. Mi manca, e quando sarò vecchia anche di più.
Dopo un po' da mia nonna è arrivata una signora di mezz'età - che se sentisse che la chiamo così non la prenderebbe tanto bene - e si è messa a polemizzare sul fatto che a San Vito "è da vent'anni che in comune ci sono i comunisti". E a dire che avanti di questo passo sarà sempre peggio. Mia nonna - sempre quella del 1923 - ha detto "Eh..ogni tanto bisognerebbe girarsi indietro a vedere quello che c'è stato." E la signora "Eh si, quella volta stavate sicuramente meglio!"
Mia nonna mentre parlava era seria, aveva negli occhi la consapevolezza di chi sa quello che dice, e l'altra aveva in faccia un mezzo sorriso superficiale, incosciente, spudorato e vuoto.
Ecco. Non so cosa mi abbia trattenuto da centrarle un occhio con uno sputo ben assestato.
Quello che mi fa più imbestialire è il fatto che ci sono milioni di persone che la pensano come questa ignorante.
Io ho paura di quest'ignoranza e di questa maleducazione sfrontata.
Se non sappiamo cosa è successo prima di noi non potremo mai progredire. In nessun senso.
Io credo che i nostri nonni siano la più grande ricchezza che abbiamo, l'unico modo per non dimenticare, per essere un po' più umili, per non dare mai niente per scontato. Neanche una pizza fuori la domenica.
Se vuoi impedire la tua crescita, sii ricco.
Il nostro problema è che siamo ricchi.
Pensavo che la cosa non fosse casuale, che tutte le amiche si dovessero chiamare Marta, o per lo meno che le vere amiche si chiamassero così.
Pensavo e sognavo che il nostro rapporto sarebbe sempre rimasto com'era,
e mia nonna e la sua amica mi sembravano semplicemente noi da vecchie, tali e quali.
Mia nonna è del 1923, oggi sono andata a trovarla e dopo poco è arrivata anche la sua amica Marta a fare due chiacchiere.
E' stato bello vederle parlare, ridere insieme, e raccogliere le ciliegie.
Io ho solo 23 anni e la mia amica Marta non mi viene più a trovare, e non ridiamo più insieme. Mi manca, e quando sarò vecchia anche di più.
Dopo un po' da mia nonna è arrivata una signora di mezz'età - che se sentisse che la chiamo così non la prenderebbe tanto bene - e si è messa a polemizzare sul fatto che a San Vito "è da vent'anni che in comune ci sono i comunisti". E a dire che avanti di questo passo sarà sempre peggio. Mia nonna - sempre quella del 1923 - ha detto "Eh..ogni tanto bisognerebbe girarsi indietro a vedere quello che c'è stato." E la signora "Eh si, quella volta stavate sicuramente meglio!"
Mia nonna mentre parlava era seria, aveva negli occhi la consapevolezza di chi sa quello che dice, e l'altra aveva in faccia un mezzo sorriso superficiale, incosciente, spudorato e vuoto.
Ecco. Non so cosa mi abbia trattenuto da centrarle un occhio con uno sputo ben assestato.
Quello che mi fa più imbestialire è il fatto che ci sono milioni di persone che la pensano come questa ignorante.
Io ho paura di quest'ignoranza e di questa maleducazione sfrontata.
Se non sappiamo cosa è successo prima di noi non potremo mai progredire. In nessun senso.
Io credo che i nostri nonni siano la più grande ricchezza che abbiamo, l'unico modo per non dimenticare, per essere un po' più umili, per non dare mai niente per scontato. Neanche una pizza fuori la domenica.
Se vuoi impedire la tua crescita, sii ricco.
Il nostro problema è che siamo ricchi.
domenica 6 marzo 2011
Ommioddio!!
Donna di Repubblica questa settimana mi ha dato più soddisfazioni del solito:

"Elio Germano ha vinto la Palma a Cannes, se non sapete chi è Elio Germano è perchè pensate che una Palma a Cannes, scusa la franchezza, valga meno di un rapporto orale con una diciassettenne. Ma questo non è un problema che riguarda Germano, KIm Rossi Stuart, o Pierfrancesco Favino, è un problema che riguarda ciò che fa notizia in un paese, e che quindi lo rappresenta. Io non voglio rappresentare questo."
P.F.
Quest'uomo mi fa impazzire.

"Elio Germano ha vinto la Palma a Cannes, se non sapete chi è Elio Germano è perchè pensate che una Palma a Cannes, scusa la franchezza, valga meno di un rapporto orale con una diciassettenne. Ma questo non è un problema che riguarda Germano, KIm Rossi Stuart, o Pierfrancesco Favino, è un problema che riguarda ciò che fa notizia in un paese, e che quindi lo rappresenta. Io non voglio rappresentare questo."
P.F.
Quest'uomo mi fa impazzire.
Cose che non vanno più di moda: LE AGENDE
di GIACOMO PAPI
Dialogo tra un venditore di almanacchi e una bambina con telefonino
Un venditore ambulante di agende, almanacchi, diari, bussole, orologi e mappe geografiche, che era corso per la maggior parte del mondo, e soggiornato in diversissime terre, si trovò un giorno in un treno senza passeggeri, quando vide una bambina di capelli nerissimi in un vagone, tutta sola e intenta a giuocare con il suo telefonino.
Venditore: Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Agende, bussole, orologi, carte geograafiche. Bisognano, signorina, agendine?
Bambina: No.
Venditore: Dove sono la tua mamma e il tuo papà?
Bambina: Non lo so, non ci sono. Sto facendo il record.
Venditore: E a che cosa stai giocando, bambina?
Bambina: A un giuoco...
Venditore: Questo lo vedo da me. Che giuoco?
Bambina: Un giuoco del telefonino.
Venditore: Come ti chiami, bambina?
Bambina: Moda.
Venditore: Come?
Bambina: Moooda!
Venditore: Che nome strano! E la tua mamma come si chiama?
Bambina: Uffa! Morte. Come quella che mi fai venire tu che mi fai anche perdere la partita.
Scagliato con stizza il telefonino sulle ginocchia, la bambina sollevò finalmente gli occhi neri a fissare il venditore. Aveva un volto di vecchia tutto pieno di rughe.
Venditore: Scusami, Moda, posso farmi perdonare con un regalo?
Bambina: Che cosa?
Venditore: La vuoi un’agendina?
Bambina: C’è già dentro il mio telefono.
Venditore: Ma questa è diversa.
Bambina: Sì. È peggiore. Ci stanno pochi nomi, si riempie di cancellature, l’ordine alfabetico è approssimativo, mentre il mio software mi mette tutti i nomi che voglio e in ordine perfetto. E poi c’è un’altra cosa... con i telefonini non serve più imparare i numeri a memoria...
Venditore: Vero, pensa che mi ricordo ancora il mio numero di quando ero piccolo 599560 e quello del mio compagno di banco 588968...
Bambina: Tu lo sai, signore, perché i numeri si dicono in fila e non come numero intero? Se uno ha il 3398441628, perché non dice 3 miliardi 398 milioni 441mila 628?
Venditore: Non lo so! Però quando cambi agenda e riscrivi i tuoi indirizzi, fai un bilancio su quelli che sono rimasti amici e quelli che non lo sono più...
Bambina: Sai che bellezza, una volta ho visto un film - era di Jules Les Jour, credo - dove c’era un vecchio che riscriveva l’agenda e a ogni nome ricordava la sua vita e alla fine capiva che non era servita a niente, così alla zeta si sparava un colpo alla tempia.
Venditore: E una bussola la vuoi?
Bambina: Nel telefono c’è.
Venditore: Un diario?
Bambina: Anche.
Venditore: Vuoi questa bellissima mappa della città dove stiamo andando?
Bambina: Qui nel mio telefono c’è la mappa via satellite di tutto il mondo e mi dice anche dove mi trovo io in qualsiasi momento...
Venditore: Allora ti regalo un orologio. Sei contenta?
Bambina: Tze, figurarsi se non c’è l’orologio nel telefono.
Venditore: Giochiamo a tris, vuoi? A scacchi, dama, battaglia navale?
Bambina: C’è tutto nel telefono. Come il cinema ha assorbito teatro, pittura, letteratura e musica in una sola arte, così i telefonini inghiottono tutto ciò che divertiva voi vecchi...
Venditore: E una caramella la vuoi, stronzetta?
Dialogo tra un venditore di almanacchi e una bambina con telefonino
Un venditore ambulante di agende, almanacchi, diari, bussole, orologi e mappe geografiche, che era corso per la maggior parte del mondo, e soggiornato in diversissime terre, si trovò un giorno in un treno senza passeggeri, quando vide una bambina di capelli nerissimi in un vagone, tutta sola e intenta a giuocare con il suo telefonino.
Venditore: Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Agende, bussole, orologi, carte geograafiche. Bisognano, signorina, agendine?
Bambina: No.
Venditore: Dove sono la tua mamma e il tuo papà?
Bambina: Non lo so, non ci sono. Sto facendo il record.
Venditore: E a che cosa stai giocando, bambina?
Bambina: A un giuoco...
Venditore: Questo lo vedo da me. Che giuoco?
Bambina: Un giuoco del telefonino.
Venditore: Come ti chiami, bambina?
Bambina: Moda.
Venditore: Come?
Bambina: Moooda!
Venditore: Che nome strano! E la tua mamma come si chiama?
Bambina: Uffa! Morte. Come quella che mi fai venire tu che mi fai anche perdere la partita.
Scagliato con stizza il telefonino sulle ginocchia, la bambina sollevò finalmente gli occhi neri a fissare il venditore. Aveva un volto di vecchia tutto pieno di rughe.
Venditore: Scusami, Moda, posso farmi perdonare con un regalo?
Bambina: Che cosa?
Venditore: La vuoi un’agendina?
Bambina: C’è già dentro il mio telefono.
Venditore: Ma questa è diversa.
Bambina: Sì. È peggiore. Ci stanno pochi nomi, si riempie di cancellature, l’ordine alfabetico è approssimativo, mentre il mio software mi mette tutti i nomi che voglio e in ordine perfetto. E poi c’è un’altra cosa... con i telefonini non serve più imparare i numeri a memoria...
Venditore: Vero, pensa che mi ricordo ancora il mio numero di quando ero piccolo 599560 e quello del mio compagno di banco 588968...
Bambina: Tu lo sai, signore, perché i numeri si dicono in fila e non come numero intero? Se uno ha il 3398441628, perché non dice 3 miliardi 398 milioni 441mila 628?
Venditore: Non lo so! Però quando cambi agenda e riscrivi i tuoi indirizzi, fai un bilancio su quelli che sono rimasti amici e quelli che non lo sono più...
Bambina: Sai che bellezza, una volta ho visto un film - era di Jules Les Jour, credo - dove c’era un vecchio che riscriveva l’agenda e a ogni nome ricordava la sua vita e alla fine capiva che non era servita a niente, così alla zeta si sparava un colpo alla tempia.
Venditore: E una bussola la vuoi?
Bambina: Nel telefono c’è.
Venditore: Un diario?
Bambina: Anche.
Venditore: Vuoi questa bellissima mappa della città dove stiamo andando?
Bambina: Qui nel mio telefono c’è la mappa via satellite di tutto il mondo e mi dice anche dove mi trovo io in qualsiasi momento...
Venditore: Allora ti regalo un orologio. Sei contenta?
Bambina: Tze, figurarsi se non c’è l’orologio nel telefono.
Venditore: Giochiamo a tris, vuoi? A scacchi, dama, battaglia navale?
Bambina: C’è tutto nel telefono. Come il cinema ha assorbito teatro, pittura, letteratura e musica in una sola arte, così i telefonini inghiottono tutto ciò che divertiva voi vecchi...
Venditore: E una caramella la vuoi, stronzetta?
giovedì 10 febbraio 2011
E QUANDO FINIRO' L'UNIVERSITA' SARO' PARALITICA
"In nome dell’educazione, si imbottisce la gente di idee.
Un bambino veramente vivo, non può stare seduto per lungo tempo. E’ vivo, non è morto. Ha voglia di saltare e correre, fare milioni di cose. E’ straripante. E noi lo costringiamo a stare seduto. E cosa succede? Quando ha finito l’università è quasi un paralitico. Per vent’anni è stato costretto a concentrarsi continuamente, e a quella concentrazione la società da un’enorme importanza. Ci sono gli esami, e se fallisce viene rimproverato, se ha successo viene apprezzato. Giochiamo il gioco dell’ego, insegniamo al bambno ad essere egoico, gli insegniamo che l’unico valore di questa società è l’estrema efficienza, e non una maggiore consapevolezza."
Martedì ho ascoltato dieci minuti la radio prima di scappare via per fare l'ultimo esame della sessione, e Fabio Volo mi ha letto questa cosa. E' incredibile. Arriva sempre al momento giusto, con la cosa giusta.
Avrei preferito non sentirlo e non avere quelle due merdosissime ernie che ho.
Fanculo.
Iscriviti a:
Commenti (Atom)

